Il sostegno psicologico in cure palliative domiciliari

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Il sostegno psicologico in cure palliative domiciliari

Eloisa, psicologa, ci racconta l’importanza dell’équipe multidisciplinare in cure palliative, per portare sollievo dal dolore, non solo quello fisico, ma anche quello emotivo e spirituale.

Spesso mi viene chiesto cosa significa fare la psicologa in cure palliative e il tono che accompagna questo grande interrogativo è colorito di timore, sfiducia e smarrimento. In effetti sembra lecito chiedersi il senso di un supporto alla fine della vita, così come la possibilità e la sostenibilità di un colloquio a domicilio, di un tempo sufficiente ad instaurare un’alleanza terapeutica con la persona e con la sua famiglia, di uno spazio adeguato all’incontro intimo e all’ascolto profondo.

È proprio questa la sfida condivisa tra gli operatori in cure palliative: essere noi portatori della relazione di cura.

A pensarci bene, si tratta di una delle nostre prime comunicazioni al paziente e alla famiglia alla presa in carico: “non dovrete più recarvi voi al luogo di cura ma vi sosterremo a creare qui, a casa vostra, un contesto di protezione e di assistenza. Saranno proprio i vostri cari, dopo attento addestramento e costante monitoraggio da parte della nostra équipe, a prendersi cura di voi”.

Le cure palliative hanno, infatti, l’obiettivo primario di offrire la migliore qualità della vita nelle condizioni di malattia in cui la persona si trova, progettando un piano terapeutico personalizzato che cambia in base alle esigenze della persona e al decorso della sua malattia.

Ci occupiamo in prima linea del dolore. Un dolore che nelle malattie croniche può essere innanzitutto fisico, ma che spesso diventa un dolore che tocca i pensieri, le emozioni e le relazioni più profonde della persona e della sua famiglia. Lo chiamiamo, infatti, Dolore totale.

Io mi occupo di questo dolore che non prevede terapie farmacologiche, un dolore che non si vede in radiografia, che non si misura con strumenti medici, ma che mette la persona in una condizione di bisogno di mettere in parole il movimento incontrollato che affolla la sua mente, di alleggerirsi di pesi che sente a volte sul petto, a volte nello stomaco, di comprendere cosa gli sta accadendo e di trovare ascolto autentico e magari qualche risposta.

A me viene dato il privilegio di ascoltare e di stare accanto ai pensieri e alle emozioni che caratterizzano il momento finale, quello del bilancio della propria vita, un momento che spesso non conosce sfumature ma fa fare scelte e richieste nette, fa entrare e avvicinare affetti autentici e duraturi e sbarra la porta a tutto ciò che è fuori, tutto ciò che è superfluo, tutto ciò che non rimane.

Accanto al letto dei pazienti, mano nella mano con loro, con i nostri sguardi reciproci che si collegano come da un filo invisibile ma tenace e diretto, ho condiviso quelli che uno di loro ha definito “i pensieri importanti”, quelle emozioni che con un’altra paziente abbiamo chiamato le “Parole del cuore”.

Si tratta di tutto quell’insieme di fatti psichici che occupano la mente delle persone in un momento della vita dove si convive con la consapevolezza di non guarire e di non dover più rivolgere le energie alla lotta contro la malattia, ma a vivere e godere di ogni momento, ogni istante in cui si è vivi, a casa propria, accanto alle persone che abbiamo scelto.

Nel mio ruolo di psicologa accolgo e proteggo verità importanti per la persona, cerco di creare, mantenere e facilitare uno spazio dove questa verità possa essere detta, condivisa, compresa e rispettata, accompagno la persona e la famiglia a vivere il tempo come un dono e a farsi doni reciproci di cose a volte mai dette, a volte ripetute infinite volte, ma non per questo meno importanti e sincere. Supporto i pazienti e le famiglie nei diversi momenti dell’assistenza, soprattutto in quelli difficili e con l’équipe cerco di sintonizzare le esigenze del corpo con quelle della mente e del cuore della persona. Promuovo ogni possibilità per chiudere e risolvere tutti i sospesi che la persona o la sua famiglia sente di avere ancora supportando un accompagnamento al fine vita e una progressiva separazione che sia, pur nella sofferenza, nella pace.

Tutto questo mi è possibile perché non sono sola nelle case dei nostri pazienti, ma con me ci sono altri sguardi che proteggono e mantengono la relazione di cura: quello dei medici e delle infermiere che, in un confronto continuo, si incontrano con il mio nel comune orizzonte della difesa della volontà della persona e del suo migliore benessere possibile.

Un lavoro continuo a più mani, a più sguardi, a più menti verso un unico grande obiettivo: esserci per la persona e per la sua famiglia, momento per momento.