Dignità per i malati terminali

Il parere del Direttore Sanitario della Fondazione F.A.R.O.

06 ottobre 2016

L’articolo pubblicato il 5 ottobre u.s. sul quotidiano “La Stampa” (Malato terminale muore al pronto soccorso, il figlio scrive alla Lorenzin: “Nessuna dignità”), porta nuovamente alla ribalta della cronaca uno dei problemi tuttora irrisolti del nostro sistema sanitario, suscitando inevitabili interrogativi sulle criticità organizzative che possono aver favorito questo deplorevole episodio.
In effetti, in ambito nazionale, l’organizzazione dei servizi non ha tenuto sempre nella debita considerazione il mutamento dello scenario socio-demografico avvenuto negli ultimi decenni. E’ indubbiamente migliorata l’aspettativa di vita ma con un aumento sostanziale delle malattie cronico-degenerative. E’ cambiata la famiglia, con difficoltà crescenti nell’accudire i propri cari nell’ultima parte della vita. I servizi assistenziali per le persone anziane e malate hanno subito più frequentemente tagli che incentivi. Infine, i servizi di cure palliative domiciliari ed hospice in Italia sono ancora ben lungi dal soddisfare i bisogni delle famiglie, venendo spesso considerati come un surplus di spesa, quando invece favoriscono una vita dignitosa sino alla fine ed un uso virtuoso delle risorse disponibili.

L’attenzione al problema subisce una improvvisa accelerazione quando gli organi di informazione riportano presunti episodi di “malasanità” come questo. Allora la Direzione Generale dell’ospedale avvia un’inchiesta interna, il Ministero ne commissiona una esterna e così via. Tutto doveroso e legittimo, ma in linea con un’abitudine tipicamente italiana di occuparsi dei problemi all’insorgere dell’emergenza, piuttosto che cercare di prevenirli con adeguate strategie organizzative. Derek Doyle, uno dei massimi esperti di cure palliative, afferma in una sua pubblicazione che le cure palliative dovrebbero essere più intervento di “prevenzione” che di “reazione”: opinione del tutto condivisibile non soltanto da un punto di vista strettamente clinico, ma anche organizzativo, nei termini dello sviluppo delle strutture dedicate.
Le legge 38 nel marzo del 2010, che sancisce il diritto del cittadino di ricevere le cure palliative e la terapia del dolore, venne approvata all’unanimità da governo e opposizione (esempio più unico che raro…). A distanza di sei anni, sembra quasi che alle cure palliative abbiano creduto più i politici di chi avrebbe dovuto occuparsene operativamente, sia dal punto di vista organizzativo che sul fronte della disseminazione culturale; d’altronde, lo sviluppo delle cure palliative e della terapia del dolore non può avvenire in assenza di un processo culturale, focalizzato sui temi inerenti alla fine della vita, che coinvolga professionisti e società civile. Di conseguenza, come non condividere le parole di un altro illustre palliativista, Gian Domenico Borasio, che in un suo libro di recente pubblicazione così si esprime: “Le cure palliative devono entrare nelle teste, non essere confinate tra le mura.»

Lo sviluppo delle cure palliative domiciliari ed in hospice potrebbe ridurre significativamente il rischio di episodi come quello descritto su “La Stampa”, garantendo nella maggior parte dei casi una vita degna di essere vissuta sino alla fine ed una morte dignitosa al di fuori di un pronto soccorso, struttura di fondamentale importanza per salvare vite umane, ma molto meno indicata negli ultimi giorni di vita.

Dott. Alessandro Valle
Responsabile Sanitario